Si può chiudere una scuola senza fare rumore. Senza forbici simboliche, senza genitori in lacrime sui marciapiedi. Basta una relazione tecnica, un calo demografico, e qualche parola ben calibrata come “ottimizzazione”, “razionalizzazione”, “presìdi alternativi”. Eppure, a San Marino, il rumore sta iniziando a farsi sentire, almeno nelle pieghe di un documento che, tra le righe, racconta il futuro che non vorremmo leggere.
Secondo la relazione tecnica del Gruppo di Lavoro istituito dal Congresso di Stato, già nel 2025/2026 chiuderanno:
* la Scuola dell’Infanzia di Città, riconvertita in asilo nido;
* l’Infanzia di Chiesanuova, con iscrizioni dirottate su Fiorentino;
* l’Infanzia di Faetano, accorpata a Borgo Maggiore;
* l’Infanzia di Dogana, che sarà dismessa e forse demolita;
* le nascite a Serravalle verranno deviate su Domagnano, quelle di Dogana verso Falciano.
Nel 2026/2027 proseguirà l’onda lunga:
* si chiuderà una tra le Elementari di Chiesanuova o Fiorentino (due ipotesi, stesso effetto: un castello impoverito);
* Infanzia Chiesanuova e Faetano confermate per la chiusura definitiva;
* Faetano avrà classi in deroga (12 bambini).
Nel 2027/2028:
* addio all’Infanzia di Montegiardino;
* possibili chiusure per le Elementari di Montegiardino, Chiesanuova o Fiorentino;
* si prevede il trasferimento di alunni da Borgo a Cailungo o Acquaviva.
E infine, nel 2028/2029, toccherà a:
* Montegiardino Elementari, che saluterà il suo ultimo anno;
* Cailungo o Borgo Maggiore, secondo l’opzione che prevarrà.
Una dopo l’altra, come caselle che cadono, le scuole scompaiono dalla mappa. A rimanere, nei documenti ufficiali, sono parole gentili come “presìdi socio-educativi”, “riqualificazione”, “spazi condivisi”. Ma provate a spiegarlo a un bambino di 5 anni che la sua scuola non c’è più, che dovrà svegliarsi prima, prendere una navetta, perdere i suoi amici e ritrovare sé stesso in una classe più affollata. Provate a spiegarlo a chi credeva che la scuola fosse un diritto, non una variabile infrastrutturale.
L’Ordine del Giorno approvato dal Consiglio cerca di ricucire con equilibrio: si parla di gradualità, di rispetto del tessuto sociale, di partecipazione delle comunità, di riuso degli spazi. Si invita a un monitoraggio continuo dei dati, si ipotizza persino che l’accordo di associazione con l’UE possa invertire il trend delle nascite. È una risposta che prova a essere rassicurante, ma che non cancella l’elefante nella stanza: senza visione, senza coraggio educativo, senza politiche vere per la natalità e l’attrattività, il sistema scolastico rischia di implodere in silenzio.
Il documento della maggioranza è prudente, forse troppo. Le parole come “laboratoriale”, “didattica innovativa”, “classi aperte”, fanno capolino, ma restano ombre accennate. Nessuna vera proposta per cambiare paradigma. Nessun piano organico su come trasformare la scuola sammarinese in un polo attrattivo per famiglie e professionisti, per aprirsi all’esterno, per formare nuovi cittadini capaci di affrontare il mondo.
La verità è che si sta amministrando l’emergenza come se fosse una costante. Si inseguono i numeri, si chiude, si accorpa, si risparmia. Ma quando è stata l’ultima volta che abbiamo parlato di scuola come luogo del pensiero, dell’innovazione, dell’identità nazionale?
Chiudere una scuola significa chiudere un pezzo di Repubblica. Significa che il Castello perde un presidio, che le comunità si sfilacciano, che i bambini crescono un po’ più soli. E se questo è il destino di Chiesanuova, Faetano, Montegiardino, dobbiamo chiederci: che Repubblica stiamo lasciando loro?
Il tempo per cambiare rotta non è scaduto. Ma serve una politica scolastica coraggiosa, capace di guardare oltre i bilanci e oltre le relazioni tecniche. Serve una strategia per far rinascere, non solo per gestire la decrescita. Perché altrimenti, tra qualche anno, non sarà solo un plesso a chiudere. Sarà una generazione a non trovare più il suo posto.