Mentre a San Marino si prepara una riforma IGR che aumenta tasse e burocrazia sui redditi da lavoro, negli Stati Uniti si approva un pacchetto fiscale monstre che taglia le imposte e mette più soldi nelle tasche dei cittadini. È il momento di chiederci: perché da noi si punisce il lavoro invece di incentivarlo?
Il confronto è quasi imbarazzante. Negli USA il “One Big Beautiful Bill” firmato da Trump prevede una raffica di tagli fiscali permanenti, deduzioni su straordinari, bonus per mance e aumenti del netto in busta. La logica è semplice: meno tasse = più consumo = più crescita. Più libertà per chi produce, più fiducia nelle capacità dei singoli.
San Marino invece segue una logica opposta: più controlli, più vincoli, più prelievo. La riforma dell’IGR attualmente in discussione parla di equità, ma nei fatti introduce nuove soglie, obblighi e formule che colpiscono ancora una volta i lavoratori dipendenti, i pensionati e i frontalieri. Nessuna detrazione reale in più. Solo nuovi moduli da compilare per mantenere sgravi che oggi spettano automaticamente.
Il tutto mentre le imprese chiedono semplificazione, i cittadini chiedono respiro, e il tessuto economico – già fragile – rischia di perdere competitività. Davvero possiamo permetterci una riforma fiscale che disincentiva chi lavora, mentre il mondo corre in direzione opposta?
Non stiamo parlando di copiare Trump. Ma dell’idea di base: sostenere chi produce, non caricarlo di pesi ulteriori. Una riforma intelligente dovrebbe dire: più guadagni, più investi, meno paghi. Invece qui si dice: più lavori, più ti tassiamo.
Un approccio moderno non guarda solo all’equilibrio di bilancio. Guarda a come generare nuova ricchezza. E la ricchezza la creano le persone, non i regolamenti.
San Marino ha l’occasione di scegliere: può costruire una fiscalità attrattiva, dinamica, leggera. Oppure può restare in un modello rigido e autoreferenziale, dove si chiede sempre di più a chi già tiene in piedi il sistema.
Le grandi scelte politiche si riconoscono dalla loro visione. Oggi ne servirebbe una semplice, ma potente: liberare il lavoro, non appesantirlo.