Prima firmi un programma di governo che sostiene l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea. Poi, dopo mesi di riunioni, briefing, tavoli tecnici e dichiarazioni pubbliche, ti alzi in piedi e chiedi tre referendum per bloccare quello che hai sottoscritto. Il tutto con l’aria di chi ha appena scoperto l’esistenza dell’Europa.
Benvenuti nel nuovo episodio del “Manuale del perfetto opportunista”, firmato Partito Socialista.
Il protagonista di questa commedia istituzionale è Erik Casali, che in conferenza stampa riesce nell’impresa di proporre:
-
Un referendum per dire sì o no all’accordo
-
Un altro per modificare la legge sui referendum
-
E uno per permettere di fare il primo
Un capolavoro di confusione moltiplicata per tre, condito da frasi d’effetto tipo:
“Qualunque sia il risultato, noi saremo felici…”
Certo, felici sì — tanto a pagare è il cittadino.
Perché ogni referendum costa. In soldi, in tempo, in macchina amministrativa. E mentre lo Stato si prepara ad affrontare le grandi sfide della transizione europea, qualcuno pensa che sia il momento giusto per una maratona di plebisciti autoreferenziali.
Nel frattempo Augusto Casali, da regista delle retrovie, rivendica la “coerenza” del partito, ricordando che già nel 2022 si parlava di referendum.
Peccato che nel 2024 il PS abbia firmato un programma di governo dove l’accordo con l’UE è indicato chiaramente come obiettivo centrale.
Forse serve un altro referendum per ricordare cosa si è votato?
Sui social, intanto, l’ironia è feroce:
“Basta referendum che il popolino non capisceee…”
“Chi non ha letto l’accordo vuole farci votare su di esso?”
“Un referendum per fare un referendum per fare un referendum. Geniale.”
Eppure, la cifra di questa operazione politica è chiara: non è chiarezza, è caos calcolato.
Non è dialogo con la cittadinanza, è melina da campagna elettorale.
E soprattutto, non è opposizione costruttiva: è opportunismo mascherato da democrazia diretta.
Nel frattempo, Libera tiene la barra dritta: i suoi Segretari di Stato non si prestano a teatrini. Riconoscono nell’Accordo con l’UE un traguardo costruito da tutti i governi, di ogni colore politico, nell’arco di oltre dodici anni.
Certo, l’accordo prevede l’adozione di circa 7.000 direttive europee. Ma non sono mostri giuridici: sono regole comuni, trasparenza, competitività, diritti.
Usare quel numero come spauracchio serve solo ad alimentare il panico di chi non vuole più assumersi responsabilità.
Questa non è informazione, è disinformazione con il microfono acceso.
È nostalgia di potere travestita da senso civico.
E mentre il cittadino prova a capirci qualcosa, scopre che il costo della confusione non è solo politico: è finanziario. E lo paga lui.
Perché i Socialisti possono anche fare tre referendum in cerca di un’identità.
Ma la Repubblica di San Marino non può permettersi di perdere altri anni, altri soldi, e soprattutto altra credibilità internazionale per colpa di chi ha firmato, ma ora vuole cancellare con una firma la firma stessa.