Mentre il Parlamento europeo elogia San Marino e spinge per una rapida firma dell’Accordo di associazione, a casa nostra c’è chi agita la paura per difendere lo status quo, rilegando il paese in uno stato di ESCLUSIONE dai circuiti moderni.
Nel frattempo, imprese sammarinesi rischiano di chiudere, e la maggioranza politica è sotto pressione: serve una scelta netta, ora.
Da ambienti della maggioranza emergono segnali chiari:
“Abbiamo quattro vecchietti, un blog e qualche fanatico che minacciano un referendum, mentre aziende sammarinesi rischiano di chiudere.”
“Non possiamo permettere che pochi disturbatori abbiano più voce di un intero popolo economico.”
“Dobbiamo mettere l’Accordo UE al primo posto della nostra agenda: ne va della sopravvivenza del Paese.”
Intanto, a Bruxelles, il Parlamento europeo prepara l’approvazione: emendamenti vantaggiosi, accesso semplificato ai fondi, supporto tecnico per le PMI. L’Accordo non è adesione, non è NATO, non è cessione di sovranità: è un ponte per colmare il vuoto normativo e commerciale in cui restiamo intrappolati.
Il Segretario di Stato Luca Beccari ha detto chiaramente:
“San Marino è formalmente uno Stato terzo, ma usa il mercato europeo per il 90% del suo export. Restare fuori significa essere penalizzati.”
E ha aggiunto:
“Senza accordo, San Marino resta fermo, isolato, fuori dalla modernità.”
Chi invoca una improbabile “neutralità storica” ignora la realtà: siamo esclusi dai circuiti moderni, dalle carte di credito ai servizi digitali, dalla sanità alla formazione. È questa la nostra indipendenza?
Dietro a una retorica nostalgica si nasconde una resistenza al cambiamento che rischia di soffocare l’intero sistema Paese.
La domanda non è più “se” fare l’accordo, ma quanti danni potrà ancora provocare il suo rinvio.