Un tempo celebrata dalla Banca di San Marino come esempio di professionalità e “managerialità femminile”, poi candidata prima a Città e infine con Domani – Motus Liberi. Oggi condannata a 35 mesi di prigionia per appropriazione indebita. Ma il vero scandalo è che i truffati dovranno avviare un secondo processo civile per sperare nel rimborso.
Dicembre 2017.
Sulla pagina ufficiale della Banca di San Marino appare un post elegante:
“Sara Podeschi, Vice Responsabile della filiale di Faetano, vi augura buone feste!
Amata dai clienti, impegnata nel sociale, esempio di managerialità femminile.”
Una campagna costruita per promuovere il volto umano della banca: donne competenti, sorridenti, affidabili.
Oggi quel post è scomparso dai social ufficiali. Ma non dalla memoria collettiva dei sammarinesi.
Perché Sara Podeschi, la stessa donna simbolo di fiducia e professionalità, è stata condannata a 35 mesi di prigionia per aver sottratto circa 410mila euro a tre correntisti, falsificando documenti e persino una firma.
Lo ha riportato San Marino RTV, confermando il patteggiamento omologato dal giudice Vico Valentini.
Dalla banca alla politica: un curriculum perfetto… fino a ieri
Negli anni successivi, la stessa Podeschi non si era limitata all’attività bancaria.
Era diventata una figura pubblica: prima candidata alle Giunte di Castello di Città con la lista Città che Riparte, poi candidata alle politiche del 2019 nella lista Domani – Motus Liberi, la formazione politica che oggi siede in Congresso di Stato.
Un volto noto, un nome riconosciuto, l’immagine perfetta della “donna che ce l’ha fatta”: lavoro stabile, famiglia, impegno sociale, cavalli, beneficenza e politica.
Proprio quella “storia modello” che le istituzioni amano raccontare.
Fino al crollo.
Il paradosso dei correntisti
Secondo quanto riportato dalle fonti giudiziarie, le somme sottratte ammontano a quasi 410mila euro.
Ma il capitolo più assurdo arriva ora: i tre clienti truffati non riceveranno automaticamente un risarcimento.
Per ottenere i loro soldi dovranno avviare un nuovo procedimento civile, con avvocati, tempi e costi.
In altre parole: chi è stato truffato dovrà spendere altri soldi per cercare di recuperare — “forse” — quelli che gli sono stati rubati.
Un capolavoro di inefficienza istituzionale.
Il sistema della fiducia a due velocità
Il caso apre un tema più profondo: quello della fiducia “a senso unico”.
Quando una banca sbaglia, a pagare non è mai la banca, ma chi ha creduto in lei.
Quando una dipendente infedele ruba, la banca tutela la propria immagine, ma i clienti restano soli.
E quando la protagonista era anche una figura pubblica, candidata alle elezioni, il danno reputazionale non è più solo economico: è istituzionale.
Oggi la vicenda Podeschi mette in imbarazzo non solo l’ex datore di lavoro, ma anche il mondo politico che l’ha accolta e sostenuta.
Eppure, nessuno parla.
Il post celebrativo del 2017 è sparito, le dichiarazioni anche.
Silenzio su tutta la linea.
Non c’è nulla di sbagliato nel promuovere la presenza femminile nei ruoli manageriali — anzi, è fondamentale.
Ma il problema nasce quando le “quote rosa” diventano solo vetrina, quando la comunicazione supera i controlli, e quando l’immagine di fiducia vale più della sostanza.
Questa non è una storia di genere, ma di sistema: quello che costruisce volti e slogan, ma dimentica di costruire controlli.
E alla fine…
Alla fine, resta l’immagine di una banca che parlava di fiducia e responsabilità,
di una candidata che prometteva rinnovamento,
e di tre correntisti che oggi devono ancora lottare per riavere i propri risparmi.
Fiducia tradita due volte: prima da chi ha rubato, poi da un sistema che non sa proteggere chi viene derubato.




