800 posti a rischio: le aziende pronte a lasciare San Marino senza l’accordo con l’UE

da | 25 Giu 2025

La realtà è più cruda dei post su Facebook. Mentre quattro rumorosi detrattori – armati solo di tastiera e teorie geopolitiche improvvisate – provano a bloccare il futuro di un intero Paese, l’economia reale parla chiaro: centinaia di lavoratori sammarinesi rischiano di perdere il proprio impiego, e diverse aziende sono già pronte a spostare altrove produzione, stabilimenti e investimenti.

Una su tutte è Ali Parquet, azienda leader del settore legno, il cui titolare Franco Capicchioni, membro del Direttivo ANIS, ha lanciato l’allarme in un’intervista rilasciata ai colleghi di San Marino RTV:

“Dal 2026 entra in vigore un regolamento Ue che impone controlli severi su tutte le importazioni extraeuropee di legno. San Marino, considerato paese terzo, sarà colpito in pieno. I nostri clienti, oggi in Europa, si troveranno a gestire obblighi pesanti che non avrebbero comprando da fornitori UE.”

Il risultato?

“Una grossa crisi di vendite verso l’Italia e gli altri paesi dell’Unione. L’unica via per superare questa criticità è un accordo di associazione con l’UE.”

E non è solo una questione di legno. Secondo informazioni raccolte da INSIDER, una grande azienda del settore integratori è già pronta a trasferire la produzione in uno stabilimento disponibile a Pennabilli se la firma dell’accordo non arriverà entro fine dicembre.

Il motivo è sempre lo stesso: restare fuori dal mercato unico europeo non è più compatibile con la competitività.

Nel complesso, si parla di oltre 800 lavoratori sammarinesi che potrebbero vedere le loro aziende spostarsi in Italia o altrove. Non per ideologia, ma per sopravvivenza.

Mentre in Consiglio e sui social impazzano discussioni su “neutralità” e “tradizione diplomatica”, chi lavora e produce in Repubblica guarda al futuro con preoccupazione crescente. Perché dietro le teorie da bar, ci sono imprese che devono esportare, bilanci da salvare, famiglie da pagare.

L’accordo di associazione non è una scelta astratta: è l’unico modo per evitare che San Marino diventi un’isola economica sempre più marginale, priva di strumenti per attrarre e trattenere investimenti.

La politica deve decidersi: seguire chi urla più forte, o ascoltare chi porta avanti il Paese ogni giorno.

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