Settimana corta: funziona solo se costruita insieme a chi lavora

da | 23 Mag 2025

Dopo aver attraversato la storia, i settori pubblici e produttivi, questo ultimo articolo si concentra su un aspetto trasversale e cruciale per ogni sperimentazione della settimana lavorativa di quattro giorni: il processo di implementazione. In particolare, si analizza il ruolo centrale dei lavoratori e delle lavoratrici, non come semplici destinatari della misura, ma come co-protagonisti del cambiamento organizzativo.

Il quadro teorico: autonomia, adattamento, istituzioni

La riuscita della settimana corta non dipende soltanto da numeri o tabelle orarie. Si fonda su un equilibrio dinamico tra fattori psicologici, organizzativi e istituzionali, che rendono il cambiamento sostenibile e replicabile. Possiamo sintetizzare questo approccio in tre direttrici fondamentali.

  1. Psicologia delle Risorse Umane: la motivazione come leva

Secondo la teoria dell’autodeterminazione (Deci & Ryan, 1985), la motivazione e il benessere derivano dalla soddisfazione di tre bisogni psicologici di base:

  • Autonomia, cioè libertà nella gestione del tempo, che rafforza il senso di controllo personale;
  • Competenza, potenziata da una maggiore focalizzazione e ridotta fatica cognitiva;
  • Relazionalità, favorita da tempi di qualità anche all’interno dell’ambiente di lavoro.

In parallelo, il Job Demands-Resources Model (Bakker & Demerouti, 2007) evidenzia come la riduzione dell’orario agisca da “risorsa” che mitiga l’esaurimento emotivo, aumentando il coinvolgimento e prevenendo il burnout.

  1. Teoria dell’Organizzazione: strutture che si adattano

Ogni organizzazione opera in un contesto specifico. Secondo la Contingency Theory (Lawrence & Lorsch, 1967), non esiste un modello unico: è necessario adattare la struttura alle caratteristiche dell’ambiente. Questo implica:

  • Differenziazione dei reparti, con ritmi e orari asincroni;
  • Integrazione tramite strumenti orientati ai risultati (es. OKR), non alla sola presenza.

La Sociotechnical Systems Theory (Trist & Bamforth, 1951) suggerisce di bilanciare la componente tecnica (es. automazione di compiti ripetitivi) con quella sociale, valorizzando il job crafting (un processo proattivo in cui i lavoratori e le lavoratrici modificano il loro lavoro per migliorarlo, rendendolo più allineato alle loro esigenze, competenze e obiettivi) e la coesione tra i gruppi di lavoro.

Fondamentale, in questo senso, è il modello High-Involvement Work Systems (Lawler, 1986), che sottolinea come la riprogettazione degli orari debba nascere dal basso, coinvolgendo direttamente le maestranze nei processi decisionali.

  1. Politiche pubbliche: quando il benessere diventa sistema

Le istituzioni giocano un ruolo chiave nella legittimazione del cambiamento. La teoria dell’isomorfismo istituzionale (DiMaggio & Powell, 1983) spiega come le norme pubbliche possano:

  • generare isomorfismo normativo, rendendo la settimana corta uno standard riconosciuto;
  • produrre isomorfismo mimetico, favorendo l’adozione tramite la diffusione di buone pratiche.

Infine, secondo la teoria degli stakeholder (Freeman, 1984), i dipendenti devono essere riconosciuti come attori primari. Questo richiede strumenti di partecipazione strutturata – come comitati misti, osservatori bilaterali e sistemi di valutazione dell’impatto sociale – che accompagnino la trasformazione in modo trasparente e condiviso.

Da teoria a pratica: i pilastri per un’implementazione efficace

Applicare la settimana corta significa ridefinire il lavoro. Per riuscirci, servono strumenti operativi concreti:

  • Mappatura dei processi critici, tramite workshop partecipati con i dipendenti, per identificare attività ridondanti e liberare tempo utile.
  • Valutazione della readiness culturale, attraverso survey anonime che rilevino il grado di fiducia, autonomia percepita e disponibilità al cambiamento.
  • Adesione volontaria iniziale, per favorire la costruzione di fiducia e ridurre la resistenza organizzativa.
  • Co-progettazione degli orari, applicando il modello HIWS per trasformare i lavoratori in co-architetti della riforma.
  • Gradualità del processo, con revisione progressiva e adattativa.

Un processo efficace richiede dashboard di monitoraggio ibride, che misurino contemporaneamente produttività, benessere e performance organizzativa. Ecco un esempio di metriche:

Categoria       Metriche                                            Obiettivo

Produttività    Output/ora, errori critici                     +10% rispetto alla baseline

Benessere        Assenteismo, eNPS (Net Promoter)  -25% giorni malattia

Organizzativo Tempo decisionale, cross-training     -30% riunioni inutili

Ogni tre mesi, un comitato misto lavoratori-management dovrebbe analizzare i dati e proporre aggiustamenti. Parallelamente, è necessaria una formazione obbligatoria per il middle management, per accompagnare la transizione dal controllo alla facilitazione (mentoring), con almeno 60 ore dedicate al reskilling relazionale e organizzativo.

Il caso Intesa Sanpaolo

Un esempio emblematico è quello di Intesa Sanpaolo, dove la settimana corta è stata introdotta in un contesto già caratterizzato da orari ridotti (da 37,5 a 36 ore settimanali). La sperimentazione è nata come scelta individuale e poi estesa a una platea più ampia attraverso accordi sindacali, con possibilità di concentrare le ore su quattro giorni a parità di salario. Si trattava infatti di una possibilità già presente nei contratti dei bancari da diversi anni, ma che Intesa Sanpaolo è stata in grado di adottare a livello individuale cambiandone il concetto: ha iniziato a farne un utilizzo sistematico su richiesta dei singoli lavoratori, senza imporre un nuovo schema ma facendo sì che passasse per la richiesta di aderirvi. Questo ha cambiato il significato della misura, da strumento occasionale a diritto contrattuale attivabile dalle maestranze.

La contrattazione sindacale ha poi permesso di superare la logica dei contratti individuali, includendo anche le filiali e prevedendo un monitoraggio condiviso e formazione per i quadri intermedi.

San Marino: un contesto favorevole alla sperimentazione

Nel percorso verso l’implementazione della settimana lavorativa di quattro giorni, San Marino rappresenta un terreno particolarmente fertile. Pur in assenza di una riforma organica, pratiche compatibili con una riduzione dell’orario settimanale sono già consolidate. È il caso, ad esempio, del venerdì pomeriggio libero in diverse aziende del settore manifatturiero. L’orario di lavoro effettivo settimanale, fissato a 37,5 ore fissato dal CCUGL industria, ha portato diverse aziende di dimensioni differenti a riorganizzare la propria produzione e gestione del personale, portando nei fatti centinaia di lavoratori e lavoratrici a sperimentare una forma parziale di settimana corta.

Questo mostra che la transizione verso un modello 4/32 può compiersi senza salti nel vuoto, ma sistematizzando esperienze esistenti.

Tuttavia, le attuali riduzioni d’orario restano spesso legate a logiche di competitività aziendale e profitto, non ancora inserite in percorsi partecipativi strutturati. È qui che San Marino ha un’opportunità concreta: grazie alla solidità del dialogo sociale, alle strutture sindacali interne attive e a una cultura del lavoro matura, il Paese può anticipare le sfide dell’integrazione europea con soluzioni innovative.

Un’opportunità anche europea

L’accordo di associazione con l’Unione Europea rappresenta una cornice strategica ulteriore: abbracciare modelli organizzativi coerenti con le migliori pratiche europee in materia di lavoro e affermare la propria posizione in termini di competitività all’interno di un mercato del lavoro che si farà più dinamico. Questo può rendere la Repubblica di San Marino un esempio virtuoso replicabile in altri micro-Stati o territori con tessuti economici simili.

Il tempo non si riduce, si ricompone

La settimana lavorativa di quattro giorni non è un taglio meccanico delle ore, ma una riconfigurazione intelligente e partecipata dell’organizzazione del lavoro. Funziona solo se parte dalle persone, se valorizza il sapere implicito dei lavoratori e delle lavoratrici e se è costruita insieme a chi il lavoro lo vive ogni giorno.

In questi cinque articoli abbiamo attraversato storia, teoria, settori produttivi e servizi pubblici, scoprendo che la settimana corta non è un’utopia, ma una possibilità concreta, già in atto in molte realtà e pronta a essere estesa con coraggio e visione. Abbiamo esplorato come questa modalità organizzativa non sia solo una misura di benessere individuale, ma anche un’opportunità sistemica per migliorare la produttività, l’attrattività dei settori produttivi, la qualità dei servizi pubblici e l’equilibrio intergenerazionale.

Ciò che emerge con chiarezza è che questa trasformazione funziona solo quando tiene insieme tre dimensioni fondamentali: una nuova organizzazione del lavoro, la centralità dei lavoratori come soggetti attivi del cambiamento, e un’idea di flessibilità che non sia precarietà, ma capacità di adattare i modelli ai contesti reali. Questo tipo di approccio integra tre piani – quello psicologico, quello strutturale e quello istituzionale – al fine di restituire centralità al tempo, alla dignità e alla partecipazione. Quando ben progettata, la settimana corta non riduce il lavoro: lo migliora.

In un’epoca segnata da transizioni profonde – tecnologiche, ecologiche e demografiche – il tempo diventa il vero campo di innovazione. Per le imprese, le istituzioni e i territori che vorranno cogliere questa sfida, la riduzione dell’orario non è un costo, ma un investimento. Un investimento nel benessere, nella produttività, nell’attrattività e nella giustizia sociale.

Costruire un futuro del lavoro in cui si lavora meno ma meglio non è solo possibile. È necessario. E a San Marino, questo futuro può iniziare oggi.

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