C’è un silenzio diplomatico, antico e necessario, che ogni tanto si rompe in un luogo simbolico. E Roma, da secoli, è quel luogo. Non solo per la sua storia imperiale o per la sua estetica monumentale, ma per la sua funzione geopolitica: capitale di un Paese non protagonista sul piano delle pressioni militari, ma profondamente rispettato come spazio di mediazione.
In questi giorni, nella discrezione ovattata dei palazzi romani, si è tenuto un incontro tanto delicato quanto decisivo: colloqui tra Iran e Stati Uniti sul programma nucleare di Teheran. Il tutto mediato da un attore silenzioso ma efficace: l’Oman, storicamente vicino all’Iran ma in grado di parlare con tutti, Washington compresa.
Da Teheran è giunto Ali Shamkhani, consigliere della Guida Suprema, con un messaggio chiaro: “non siamo a Roma per cedere, ma per costruire un accordo equilibrato”. Una frase che dice tutto. L’Iran non accetta imposizioni, ma sa che la propria legittimità internazionale passa oggi più che mai attraverso un compromesso credibile sul dossier nucleare.
Insieme a Shamkhani, il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha incontrato l’inviato statunitense Steve Witkoff. Il clima, riferiscono fonti vicine al dossier, è stato “costruttivo”. Nessun trionfalismo, nessuna firma da annunciare. Ma una ripresa del dialogo, dopo anni di gelo, sanzioni e rotture.
Sul tavolo, i nodi di sempre: le garanzie che Teheran pretende affinché Washington non si ritiri nuovamente da un possibile nuovo accordo, come accadde nel 2018 con la decisione dell’amministrazione Trump di abbandonare il JCPOA. In parallelo, si discute della possibilità che Mosca assuma il ruolo di garante tecnico, con l’affidamento dell’uranio arricchito iraniano per evitarne un uso militare. Una mossa che potrebbe riequilibrare i timori reciproci.
In tutto questo, la posizione dell’Italia è silenziosa ma cruciale. Non ha pretese di protagonismo, ma Roma è da sempre considerata un territorio neutrale, sicuro, rispettato da entrambe le parti. Non è un caso che l’incontro sia avvenuto nella capitale italiana. L’Italia non impone, non polarizza, non divide. Facilita, ed è questa oggi la virtù più rara nella diplomazia internazionale.
Il Ministro degli Esteri Tajani ha espresso sostegno al processo, senza interferenze. Un profilo basso, ma utile. In linea con la tradizione italiana: ospitare, garantire riservatezza, offrire uno spazio di ascolto. Roma diventa così, ancora una volta, crocevia della stabilità, quando la geografia si impasta di prudenza e di antichi rapporti consolidati.
Non sappiamo – e non dobbiamo sapere – cosa sia stato detto parola per parola. Ma sappiamo che in un’epoca segnata da guerre in corso, escalation regionali e crisi energetiche, il semplice fatto che Washington e Teheran tornino a guardarsi negli occhi è già notizia. Se a questo si aggiunge che lo fanno a Roma, capitale silenziosa della diplomazia, allora forse qualcosa si sta davvero muovendo.
E non è un caso. È geopolitica.