Chiedere oggi un referendum sull’accordo con l’Unione Europea può sembrare una prova di democrazia. Ma senza una campagna seria di informazione pubblica, senza che i cittadini conoscano davvero i contenuti dell’accordo, quel voto rischia di essere solo uno sfogo ideologico. La vera priorità ora è spiegare: cosa prevede l’accordo, cosa comporta, cosa cambia e cosa no.
L’Accordo di Associazione con l’UE non è un ingresso nell’Unione. Non è un’adesione. È un pacchetto complesso di intese tecniche che riguarda ambiti molto diversi: commercio, fiscalità, giustizia, ambiente, servizi digitali. Nessuna di queste voci, da sola, riassume tutto. E nessuno, in buona fede, può ridurre l’intero contenuto a una domanda secca a cui rispondere con un “sì” o con un “no” immediato.
Questo non significa che i cittadini non siano in grado di giudicare. Significa che nessuno oggi è stato davvero messo nelle condizioni di farlo con consapevolezza. Un referendum – se ci sarà – deve essere l’ultimo passaggio di un processo informativo, non il primo. Perché un Paese maturo si confronta, discute, ascolta, e solo dopo prende posizione. Non decide alla cieca.
Oggi, invece, siamo in un clima polarizzato, in cui le posizioni sono spesso più emotive che ragionate. E questo è comprensibile: l’accordo non è ancora stato illustrato in modo chiaro, accessibile, trasversale. Mancano documenti divulgativi, sintesi affidabili, incontri pubblici pensati per tutti, non solo per gli addetti ai lavori. Mancano i fondamentali della comunicazione istituzionale.
Per questo, l’unico atto di responsabilità possibile – da parte della politica e di chi ha lavorato all’accordo – è lanciare una grande campagna di informazione pubblica, a tutti i livelli. Con linguaggio semplice, esempi concreti, confronto aperto. Serve spiegare cosa accade se si firma, cosa accade se non si firma. Serve spiegare che cosa San Marino otterrà, a cosa dovrà adattarsi, in quali ambiti potrà uscire in caso di difficoltà.
Perché, ed è un punto fondamentale, l’accordo prevede una clausola di salvaguardia. In altre parole: San Marino ha la possibilità – dopo l’entrata in vigore – di valutare l’effettivo impatto dell’accordo e, se necessario, di rivedere la propria posizione. Questa clausola consente al Paese di vivere l’accordo, valutarlo con dati alla mano, e semmai tornare a coinvolgere i cittadini su basi concrete. È questo il vero strumento democratico: non una scelta alla cieca, ma un controllo consapevole nel tempo.
Il referendum, in quel contesto, avrebbe pieno senso. Ma solo dopo una fase di attuazione, verifica e confronto reale. Non come arma politica per fermare tutto prima ancora di iniziare.
San Marino ha la forza, la storia e gli strumenti per affrontare questo passaggio in modo adulto. Ma servono meno slogan e più contenuti. Meno paura e più conoscenza. Perché la libertà si esercita davvero solo quando si ha capito cosa si sta scegliendo.