“Lo sciopero vi costerà molto di più del nuovo prelievo fiscale.”
Basta questa frase, pronunciata dal Segretario alle Finanze in conferenza stampa, per capire il livello di distanza tra chi governa e chi ogni giorno deve far quadrare i conti con stipendi e pensioni sempre più leggeri.
Un’uscita infelice, che ha avuto l’effetto opposto a quello sperato: invece di calmare le acque, ha dato ai sindacati un’arma in più per rilanciare la mobilitazione.
Perché i lavoratori sanno bene che il nuovo carico fiscale non pesa “solo un anno”, ma andrà ad incidere per molto più tempo, sommando sacrifici su sacrifici.
Le sigle sindacali lo hanno ribadito con forza:
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la riforma colpisce salari e pensioni già erosi dall’inflazione;
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i 10 milioni annui non restituiti per la mancata applicazione del fiscal drag pesano ancora sulle tasche delle famiglie;
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le grandi rendite e i capitali vengono solo sfiorati, mentre chi lavora viene chiamato a contribuire ancora una volta.
A questo si aggiunge la misura sull’1% in più alle imprese, che secondo gli operatori economici riduce la competitività fiscale di San Marino e scoraggia investimenti già messi a dura prova da burocrazia e costi nascosti.
Il risultato? Una riforma percepita come iniqua e un clima sociale che si surriscalda.
Lo sciopero generale non è più soltanto una minaccia: è la risposta concreta a un’impostazione che rischia di mettere i lavoratori contro, mentre i veri nodi – evasione e grandi debitori – restano intatti.
La battuta di Gatti, forse pensata per sminuire, resterà invece come il simbolo di questa distanza. Per molti, è la prova che la protesta non solo è legittima, ma necessaria.