La voce di una giovane sammarinese: “Sono stanca di cercare lavoro”

da | 27 Nov 2025

In un post pubblicato su “San Marino Risponde”, una giovane sammarinese descrive in modo diretto la propria esperienza con il mondo del lavoro, usando parole che restituiscono senza filtri il suo disagio. «Sono stanca. Non è una stanchezza di un giorno o di una settimana: è una stanchezza che si accumula, che si incolla addosso, che pesa nelle spalle e nella testa.» Una stanchezza che, come scrive, nasce dal continuo tentativo di trovare un’occupazione stabile senza successo.

La giovane racconta di avere meno di trent’anni e di non riuscire a inserirsi nel mercato del lavoro, nonostante gli sforzi ripetuti. «Sono stanca perché non trovo lavoro… e questa combinazione brucia. Brucia perché ti senti dire che “i giovani non vogliono lavorare”… quando tu lo sai che non è così, perché ci stai provando davvero.» Il nodo principale che emerge è la distanza tra ciò che le viene chiesto e ciò che riesce realmente a ottenere, pur impegnandosi.

Di fronte alla mancanza di opportunità, la giovane afferma di essersi mossa anche in prima persona: «Sono andata anche di persona a portare il curriculum… bussando a porte che nemmeno si aprono.» Dalle procedure istituzionali, invece, arrivano poche possibilità: «Le proposte tramite l’ufficio del lavoro? Due all’anno, quando va bene. Due.»

Il senso di frustrazione si amplifica nei colloqui: «Mi sorridono, mi dicono che piaccio… ma poi scelgono qualcun altro. Sempre qualcun altro.» Una dinamica che la porta a domandarsi cosa manchi, quale elemento continui a sfuggire. «Perché devo uscire sempre con lo stesso peso sul petto, lo stesso “le faremo sapere” che ormai è solo un modo elegante per dire “spariremo”?»

Nella sua testimonianza, la ragazza racconta anche il peso dell’incredulità altrui: «Quando dico che non c’è lavoro, la gente mi guarda e pensa che esagero.» E aggiunge un dato significativo: «Ho mandato più di 300 curriculum. Trecento. Molti senza neanche una risposta… sempre quel maledetto silenzio.»

Neppure la formazione aggiuntiva sembra essere servita: «Ho fatto corsi, ho investito tempo, energie, soldi che non avevo… non è servito a niente.» L’unica possibilità concreta, spesso, è rappresentata da lavori a chiamata: «Due giorni sì, tre no. Non ci fai niente. Non ci paghi i farmaci, non ci paghi le spese.» Una precarietà che non permette alcuna prospettiva.

Nel testo emerge anche una condizione di salute che aggrava la situazione: «La gente non sa cosa vuol dire pagare tutto in farmaci da anni, non avere nessuna stabilità…» La giovane precisa che vive con persone che si trovano nella stessa condizione e che non possono sostenerla: «Siamo tutti sulla stessa barca che imbarca acqua da tutte le parti.»

La richiesta finale è chiara e priva di enfasi: «Chiedo solo un lavoro. Un lavoro stabile, anche part-time. Un contratto vero. Qualcosa che mi permetta di vivere e non solo di sopravvivere.» E il suo sfogo si chiude con una constatazione che dà il senso dell’intero messaggio: «Stanca di non contare mai abbastanza. Stanca di sentirmi dire che il problema sono io, quando il problema è un sistema che non dà spazio a chi vuole soltanto lavorare dignitosamente.»

Il contributo restituisce, senza ricami, la fotografia di un disagio individuale che si intreccia con questioni più ampie: precarietà, accesso al lavoro, risposte istituzionali e percezione sociale. Un racconto diretto, che pone interrogativi e lascia emergere la complessità del tema senza ricorrere a interpretazioni o giudizi.

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