La Confederazione Sammarinese del Lavoro ha ospitato, il 27 novembre, una testimonianza diretta proveniente dalla Cisgiordania, portata dall’attivista palestinese Mohannad Qafaisha, esponente di Youth Against Settlements, accompagnato dalla giornalista Michela Monte – partecipante alla Global Sumud Flotilla – e da Mirko Botteghi e Daniela Daniele, rappresentanti dell’ANPI Rimini. L’iniziativa, come ricorda il comunicato della CSdL, nasce per raccontare «la resistenza non violenta dei palestinesi» che vivono sotto occupazione nei territori di Hebron e della Cisgiordania.
Nel pomeriggio si è svolto l’incontro presso la sede sindacale, seguito in serata da una conferenza pubblica al Centro Don Bosco di Borgo Maggiore. Accogliendo gli ospiti, il Segretario Generale della CSdL, Enzo Merlini, ha ribadito «il pieno appoggio della Confederazione del Lavoro alla causa del popolo palestinese», richiamando anche «la piena condivisione della scelta di San Marino di votare a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina all’Assemblea dell’ONU il 23 settembre scorso».
Il comunicato descrive l’attività di Youth Against Settlements come quella di un’associazione «non violenta che offre supporto in particolare alle famiglie palestinesi che vivono nella città di Hebron e nei territori limitrofi», costruendo reti di solidarietà e documentando, tramite social media e rapporti con la stampa, «le sofferenze e le continue violazioni dei diritti umani subite dai palestinesi». Una scelta, quella della non violenza, definita come portata avanti «con coraggio e determinazione».
Nel resoconto presentato alla CSdL, Qafaisha ha denunciato la frequenza delle aggressioni, le demolizioni e le violenze perpetrate dai coloni, con il sostegno dei militari israeliani che «assistono inermi a qualunque violenza». Viene ricordato come il Governo israeliano incoraggi l’espansione delle colonie, in violazione del diritto internazionale, con l’obiettivo di spingere i palestinesi ad abbandonare le proprie terre.
Un passaggio significativo riguarda la diffusione delle armi: secondo Qafaisha, «ben 300mila fucili automatici […] sono stati distribuiti dal Ministero della Sicurezza israeliano ai coloni», un’iniziativa che viene descritta come parte di un progetto di occupazione che «sa di pulizia etnica» e che mira a cancellare ogni prospettiva della soluzione «due popoli, due stati».
La situazione di Hebron viene raccontata come il risultato di un processo di espulsione progressiva: «i palestinesi sono stati cacciati e relegati in alcune zone», costretti a muoversi tra posti di blocco spesso chiusi per ore e impossibilitati, talvolta, perfino a chiamare un’ambulanza. Secondo il comunicato, i palestinesi vivono «in un vero e proprio apartheid», esposti ad accuse arbitrarie e privati delle garanzie elementari del diritto penale.
Qafaisha ha ribadito che l’unica via d’uscita è la creazione di due Stati indipendenti, sottolineando che «il popolo palestinese da solo non è in grado di realizzare questo obiettivo» e che, come per Israele, la nascita dello Stato palestinese richiede una decisione della comunità internazionale. L’attivista ha evidenziato anche l’assenza di una leadership rappresentativa, poiché l’attività politica è «fortemente ostacolata, nei fatti impedita, dalla repressione israeliana», con numerosi esponenti detenuti nelle carceri dello Stato ebraico. I giovani palestinesi, afferma, chiedono «di poter esercitare il diritto di voto», per poter scegliere una rappresentanza politica affidabile e legittimata. Essere liberi in uno Stato sovrano e democratico, conclude, «non può restare solo un sogno».
La testimonianza di Michela Monte ha aggiunto un quadro personale dell’esperienza vissuta durante la Global Sumud Flotilla, descritta come «un assaggio di quelle che sono le sofferenze e le violenze che i palestinesi subiscono nella loro vita quotidiana». Alla giornalista è stata espressa gratitudine per il suo impegno, descritto come un «coraggioso esempio dell’opinione pubblica mondiale indignata» rispetto alle responsabilità dei governi che, secondo il comunicato, avrebbero sostenuto nei fatti «il genocidio compiuto da Israele», pur prendendone le distanze solo formalmente.




