Ridurre l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea a pacco Amazon e conto corrente è come spiegare la Divina Commedia parlando solo di biglietti dell’autobus.
Beccari li ha citati alla Festa dell’Amicizia come esempi concreti, per rendere chiaro a tutti cosa significa vivere in un Paese che spesso deve cavarsela con eccezioni, cavilli e deroghe.
Ma c’è chi ha preferito strappare quelle frasi dal contesto, trasformarle in satira da quattro soldi e servire al pubblico la solita barzelletta.
Il problema è che non fa ridere.
Oggi i pacchi arrivano e i conti si aprono non perché abbiamo diritti certi, ma perché qualcuno chiude un occhio. Un giorno la multinazionale decide di consegnare, un altro blocca tutto per una disputa fiscale; una banca accetta il documento, un’altra storce il naso. È la differenza tra vivere di favori e vivere di regole.
Ecco il punto che sfugge – o che qualcuno finge di non vedere: con l’Accordo, certe cose diventano diritti garantiti. Non un favore concesso, non un’eccezione temporanea, ma una norma scritta dentro un quadro regolato europeo. Questo significa certezza del diritto, e questo significa competitività per imprese e cittadini.
Ma fa più comodo ridicolizzare, gridare alla “fregatura” e insultare il Segretario come “pugile suonato”. Perché è più facile banalizzare che spiegare.
Così si cancella il contenuto vero dell’Accordo: l’accesso regolato al mercato unico, la possibilità di difendere le nostre posizioni a Bruxelles, la certezza per aziende e lavoratori.
Trasformare tutto questo in una gag da bar è l’ennesima prova di come certa informazione non cerchi di chiarire, ma di confondere. Non è satira: è propaganda.
E alla fine, il rischio non è Bruxelles. Il rischio siamo noi, se continuiamo a ridurre la politica estera di un Paese a una barzelletta da social.