Ci raccontano che la riforma IGR sia un “atto di giustizia sociale”, ma la verità è che questa legge rischia di trasformarsi in un boomerang economico.
L’idea di chiedere un contributo straordinario dell’1% alle imprese per cinque anni viene presentata come un gesto di solidarietà. In realtà, in un Paese che da sempre lotta per attrarre capitali e convincere imprenditori a insediarsi, equivale a tagliare l’unico vantaggio competitivo rimasto: la fiscalità leggera e stabile.
San Marino non è l’Italia, non è la Germania, non è la Francia. Non può permettersi di alzare le tasse confidando su un mercato interno sterminato. Qui basta un piccolo scarto – anche un solo punto percentuale – per spingere investitori e aziende a guardare altrove. Basta guardare alla concorrenza diretta: paesi che offrono burocrazia snella, incentivi concreti e regimi fiscali agevolati. Mentre noi, con questa riforma, scegliamo di fare il contrario.
E la realtà è che gli imprenditori già guardano altrove. Non solo per le tasse, ma per la giungla burocratica che rallenta ogni pratica, per i costi “nascosti” di aprire e gestire un’impresa, per l’incertezza normativa che cambia a colpi di decreti. Se a tutto questo si aggiunge anche un ulteriore prelievo, il messaggio che passa è chiaro: “meglio investire da un’altra parte”.
Il Governo la chiama “redistribuzione”, ma in pratica è un prelievo extra mascherato da misura equa. E quando si colpisce chi produce reddito, chi crea lavoro e paga già le tasse, l’effetto è sempre lo stesso: meno competitività, meno attrattività, meno sviluppo.
Si parla di 20 milioni di gettito aggiuntivo, di cui 5 dalle imprese. Ma davvero pensiamo che 5 milioni spalmati su cinque anni valgano il rischio di compromettere il posizionamento internazionale del Paese? È un calcolo miope: si raccoglie oggi quello che si perderà domani in mancati investimenti e posti di lavoro.
La verità è che questa riforma, dietro le parole altisonanti sulla “giustizia sociale”, ha un difetto enorme: colpisce proprio chi dovrebbe essere sostenuto per far crescere l’economia. Con i rischi che conosciamo: delocalizzazioni, frenata degli investimenti esteri e fuga di talenti.
In un mondo dove i Paesi fanno la gara ad abbassare le imposte e a semplificare le regole per attrarre capitali, San Marino sceglie di auto-sabotarsi con un +1% che pesa come un macigno, sommato a burocrazia e costi opachi che già spingono le imprese a fuggire.
E allora sì, c’è un cambio di rotta: ma non verso il rilancio, bensì verso il declino.