Come in Cina o nell’URSS: Domani Motus Liberi impone il vincolo di mandato ai suoi Consiglieri?

da | 17 Lug 2025

Nell’Unione Sovietica, il deputato del Soviet non votava: eseguiva.
Nella Cina di oggi, ogni rappresentante è un ingranaggio del Partito Comunista, vincolato alla sua linea.
In Cile durante il regime di Pinochet, il Parlamento era solo una formalità: chi dissentiva spariva.

E a San Marino, nel 2025, un partito – Domani Motus Liberi – ha messo per iscritto, nel proprio Statuto, lo stesso principio inquietante: se lasci il gruppo, devi lasciare il seggio.
Non sei più libero. Non rappresenti più i cittadini. Rappresenti solo il Partito.

Questo è il cuore del caso che ha scosso in queste ore la politica sammarinese, con la clamorosa uscita di Michela Pelliccioni dal gruppo consiliare di DML, per diventare Indipendente di Opposizione. Un gesto motivato dalla crescente distanza sulla linea politica, soprattutto sull’Accordo di Associazione con l’Unione Europea, da lei definito “vitale per il futuro del Paese”.

La reazione di DML? Non confronto, non dialogo. Ma una condanna pubblica basata su un articolo del proprio Statuto – l’art. 24 – che recita testualmente:

Il Consigliere eletto nella lista del Partito è soggetto al vincolo di mandato, pertanto nel caso in cui decida di abbandonare il Gruppo Consiliare è tenuto a lasciare altresì la carica di Consigliere.

Una posizione che cozza frontalmente con i principi fondamentali delle democrazie moderne. In Italia, ad esempio, l’articolo 67 della Costituzione è chiarissimo:

Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

Questo significa che un parlamentare – o un Consigliere, nel nostro caso – non è proprietà del partito, ma espressione della volontà popolare. Il suo compito è rispondere ai cittadini, alla coscienza, e al bene del Paese, non a regolamenti interni o minacce di epurazione.

Il concetto di vincolo di mandato è considerato pericoloso proprio perché annulla la libertà del rappresentante. È uno strumento di controllo, non di rappresentanza. Ed è per questo che viene rifiutato dagli ordinamenti democratici e invece utilizzato nei regimi autoritari, dove il potere non si discute.

L’intera risposta ufficiale di Domani Motus Liberi è costruita attorno a questa visione: chi esce, tradisce; chi dissente, ha motivazioni inconfessabili; chi agisce secondo coscienza, sta pretestuosamente danneggiando il Partito. Il tutto senza mai affrontare, nel merito, le ragioni politiche di una rottura maturata, secondo Pelliccioni, “per senso di responsabilità verso il futuro della Repubblica”.

La sua voce è oggi una voce fuori dal coro, e proprio per questo DML cerca di delegittimarla, evocando una fedeltà dogmatica più da apparato sovietico che da realtà politica moderna. Eppure, se esiste un dovere per chi rappresenta il popolo, è proprio quello di disobbedire quando il partito devia dalla rotta.

Chi chiede serietà, equilibrio e visione per il Paese – come ha fatto Pelliccioni – non merita un processo interno, ma una riflessione collettiva.
Perché in democrazia si risponde agli elettori, non agli statuti di partito.

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