Ci sono momenti in cui la storia non ammette ambiguità.
Questo è uno di quei momenti.
San Marino è a un passo dalla firma dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea, dopo quindici anni di trattative, governi, viaggi, incontri diplomatici, rinvii, aggiustamenti, e — diciamolo chiaramente — anche un bel po’ di fatica collettiva.
E proprio adesso, quando l’obiettivo è davanti agli occhi di tutti, qualcuno — con colpevole leggerezza o calcolo politico — propone di fermarsi. Di fare marcia indietro. Di tirarsi indietro.
No. Non è accettabile. E non solo per una questione tecnica o economica. Ma per una questione di dignità istituzionale, di rispetto verso il mandato popolare e di credibilità internazionale.
Tutti i governi lo hanno voluto. Tutti.
Chi oggi gioca a fare il “difensore del dubbio” dovrebbe ricordare che tutti i governi degli ultimi quindici anni — centro, sinistra, destra, coalizioni arcobaleno — hanno portato avanti questo accordo, senza eccezioni.
E dovrebbe anche ricordare che le ultime elezioni si sono svolte con un messaggio chiarissimo:
🔹 chi voleva firmare l’accordo è stato premiato alle urne,
🔸 chi proponeva ambiguità, rinvii o “altri modelli” è rimasto fuori.
Oggi tornare indietro significa tradire quel mandato.
Non c’è un’altra parola.
Il danno è incalcolabile: fuori da tutto, fuori da tutti
Chi pensa che “non firmare” significhi restare fermi dove siamo, si illude.
Non firmare non è uno stop neutro. È un salto nel vuoto.
È diventare il Paese che dopo 15 anni chiede, ottiene, negozia, scrive… e poi si tira indietro.
Il Paese che spacca la parola data.
Che manda all’aria anni di lavoro diplomatico e tecnico.
Conseguenze?
- L’UE chiude la porta. Non per 6 mesi. Per anni.
- L’Italia ci guarda e si fa delle domande molto serie.
- Le imprese europee capiscono che con noi non si può pianificare niente.
- I nostri imprenditori e professionisti vengono bollati come “extra UE” a vita.
E la domanda diventa:
Chi vorrebbe mai firmare un contratto con un partner che si tira indietro all’ultimo minuto?
Senza accordo, il Paese resta in mezzo al nulla
Senza accordo:
- Non abbiamo accesso al Mercato Unico.
- Le nostre imprese restano intrappolate in un mercato piccolo, lento, burocratico.
- Non possiamo partecipare ai programmi europei su innovazione, digitale, formazione, PMI.
- I nostri giovani non vanno in Erasmus.
- I nostri medici non possono usare standard europei.
- Le nostre aziende non possono accedere a bandi pubblici europei.
Siamo una barchetta fuori dalla rotta, in un mare dove tutti gli altri navigano assieme da decenni.
Non firmare sarebbe irrazionale. E imperdonabile.
San Marino non è obbligato a firmare. Ma non è più nelle condizioni di fingere che non firmare non abbia conseguenze.
Fermarsi ora sarebbe:
- un atto di miopia politica,
- un’offesa al lavoro di chi ci ha creduto,
- un danno strategico per tutto il Paese,
- una sconfitta davanti all’Europa,
- una figuraccia epocale.
E sì: una figura di merda, a livello internazionale.
O adesso o mai più
L’Accordo non è perfetto. Nessuno lo è. Ma è il miglior compromesso possibile tra sovranità e integrazione, tra identità e opportunità.
Ci lascia liberi su ciò che conta — immigrazione, difesa, aborto, moneta, fiscalità.
E ci apre le porte su ciò che serve: mercato, impresa, lavoro, conoscenza, futuro.
Chi oggi vuole rinunciare, non lo fa per il bene del Paese.
Lo fa per paura, per interesse personale, o peggio: per convenienza elettorale.
E allora, come giornalisti, cittadini e osservatori, una cosa va detta:
Tirarsi indietro adesso non sarebbe una scelta. Sarebbe un errore storico.
E San Marino — un Paese con 1700 anni di storia — non può permettersi un errore così stupido.