Quando i saggi parlano, la Repubblica dovrebbe ascoltare. E stavolta a parlare non sono opinionisti qualunque, ma tre nomi che hanno fatto la storia istituzionale e giuridica di San Marino: Giovanni Giardi, Fernando Bindi e Luigi Lonfernini. Tre voci autorevoli che, con garbo e rigore, stanno lanciando un allarme chiaro: la questione della doppia cittadinanza non può essere ridotta a una battaglia identitaria o a una concessione automatica sotto la spinta di pressioni esterne.
Il COMITES alza i toni, parla di diritti, agita lo spauracchio della discriminazione, ma dimentica che la cittadinanza è – prima di tutto – appartenenza e dovere, non un’etichetta da sbandierare all’occorrenza.
Luigi Lonfernini, probabilmente la mente giuridica più lucida della Seconda Repubblica, va dritto al punto: “Serve un confronto culturale e giuridico con l’Europa e con i piccoli Stati”. Traduco: non possiamo decidere sull’onda dell’emotività o dell’ideologia. La cittadinanza è un atto di sovranità, non una formalità amministrativa. Ed è qui che la politica dovrebbe fermarsi e riflettere.
Fernando Bindi spiega una distinzione che andrebbe incisa nelle fondamenta del dibattito: c’è una differenza tra chi è sammarinese di nascita con doppia cittadinanza per trasmissione, e chi è italiano che diventa poi sammarinese. I primi hanno radici qui, identità piena. I secondi la acquisiscono, legittimamente, ma – nel farlo – devono scegliere: chi sei davvero, quando indossi due giacche e i due Stati non vanno nella stessa direzione?
La domanda, cruda ma centrale, l’ha posta anche Gian Nicola Berti nella trasmissione “Viceversa”: se un cittadino con doppio passaporto ha ruoli istituzionali in entrambi i Paesi, a chi deve fedeltà? All’Italia? A San Marino? La risposta non è banale. Eppure su questo la politica continua a tacere.
In altri piccoli Stati, come Liechtenstein, Monaco o Andorra, la doppia cittadinanza è gestita con cautela estrema. Perché lì, come qui, ogni cittadino conta. Ogni incarico pesa. Ogni ambiguità diventa crepa.
Ma a San Marino, mentre i padri nobili sollecitano un dibattito profondo, la politica sembra assente. Il governo non prende posizione. E il partito che per tradizione ha difeso l’identità nazionale, la Democrazia Cristiana, ad oggi si muove in un prudente silenzio che inquieta più delle parole.
Eppure, lo capisce anche chi osserva da fuori: questo sarà uno dei temi più caldi del dibattito consiliare. Perché tocca nervi scoperti: identità, appartenenza, istituzioni, geopolitica, persino il futuro demografico del Paese.
San Marino è terra di accoglienza, certo. Ma è prima di tutto una Repubblica libera e sovrana, con una storia millenaria da custodire. E se oggi si discute di doppia cittadinanza, lo si faccia con equilibrio, conoscenza e coraggio, non per assecondare spinte o rispondere a pressioni.
Perché, come ci insegnano i grandi che oggi prendono la parola, senza una visione chiara, si rischia di compromettere ciò che ci rende unici.