Il lungo crepuscolo del pontificato. E l’attesa che scava il futuro

da | 21 Apr 2025

Dopo Francesco, il tempo del silenzio. Il tempo dell’attesa. Il tempo delle scelte. Papa Francesco è morto questa mattina, alle 7:35. E con lui si chiude un pontificato che ha segnato la storia recente della Chiesa cattolica più di quanto ancora si riesca a comprendere. Un Papa che ha voluto dismettere la porpora per indossare la polvere delle strade, che ha preferito le periferie ai palazzi, la misericordia al potere, il gesto al dogma. E ora, dopo la sua morte, la Chiesa si ritrova a camminare, ancora una volta, senza guida.

A reggere le sorti della Santa Sede, nel tempo che si apre tra un pontificato e l’altro, sarà il Cardinale Camerlengo, ruolo oggi ricoperto da Kevin Farrell, uno degli uomini più vicini a Francesco. Sarà lui a gestire l’ordinaria amministrazione, a preparare il Conclave, a garantire che tutto proceda secondo le regole antiche che, pure, il Papa argentino ha in parte riscritto. Perché anche in morte, Francesco ha voluto lasciare un segno: nessun funerale sontuoso, nessuna triplice bara, nessun culto della personalità. Il corpo sarà deposto in una semplice cassa di legno, visibile per tre giorni alla preghiera dei fedeli, prima di essere sepolto non nelle Grotte Vaticane, come la tradizione avrebbe imposto, ma nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Lì dove lui stesso, più volte, si era recato in silenzio a pregare. Un gesto coerente, definitivo, che chiude il cerchio di un pontificato vissuto nel segno dell’umiltà.

Ora tocca alla Chiesa guardare avanti. Con la morte del Papa si apre la Sede Vacante, e si avvicina il Conclave. Saranno 138 i cardinali elettori, provenienti da 71 Paesi diversi. Le regole aggiornate da Francesco permettono, se tutti saranno presenti, di anticipare l’inizio del Conclave rispetto ai 15 giorni canonici. E già nei corridoi del Vaticano si sussurrano nomi, si incrociano sguardi, si misurano equilibri. I più menzionati? Pietro Parolin, Segretario di Stato, il diplomatico prudente, capace di navigare tra le tempeste con la calma dei veterani. Matteo Zuppi, presidente della CEI, interprete del “vangelo delle strade”, vicino alla Comunità di Sant’Egidio, volto dell’inclusione e del dialogo. Luis Antonio Tagle, filippino, già a capo dell’Evangelizzazione, figura di una Chiesa giovane e missionaria, con un orizzonte globale. E poi i profili più tradizionali: Péter Erdő, ungherese, teologo rigoroso, stimato nelle aree dell’Europa orientale; Robert Sarah, guineano, voce solenne del silenzio e della liturgia, amato da chi chiede un ritorno alle radici. E infine Jean-Claude Hollerich, lussemburghese, tra i protagonisti del processo sinodale, riformatore con passo lento ma deciso.

In questo ventaglio di possibilità si riflettono i dilemmi della Chiesa di oggi: restare sul sentiero tracciato da Francesco, fatto di aperture, fragilità condivise, ascolto dei margini, o scegliere un ritorno all’ordine, alla dottrina, alla struttura. Francesco ha aperto sentieri, ma ha anche lasciato nodi irrisolti. Ha chiesto una Chiesa “in uscita”, meno giudicante e più accogliente. Ora spetta ai cardinali decidere se fare un passo in avanti o uno indietro. Se dare continuità, o imprimere discontinuità.

Intanto, la Chiesa tace. Ma non è un silenzio immobile. È il silenzio degli interregni, delle stanze segrete, delle preghiere non dette. È il silenzio che prepara, che cerca, che attende. In attesa che si levi di nuovo quella voce antica, forte come la pietra e leggera come la colomba: Habemus Papam.

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