Trump tuonò e alla fine piovvero…Dazi. Ma San Marino si salva: “Solo” il 10%

da | 3 Apr 2025

La mossa di Donald Trump è vista da molti come la pietra tombale di una globalizzazione già traballante. L’obiettivo dichiarato è il ritorno delle produzioni negli Stati Uniti, utilizzando i dazi come strumento per livellare i surplus commerciali degli altri paesi. Dopo le anticipazioni, Trump è passato ai fatti, adottando una linea dura basata sul principio di reciprocità, con l’aggiunta di una tariffa fissa del 25% sulle auto importate.

“Faremo pagare metà di ciò che paghiamo noi”, ha tuonato l’ex Presidente USA durante il suo intervento al giardino delle rose della Casa Bianca. Tradotto in pratica, questo significa dazi del 20%, ad esempio, per l’Unione Europea, accusata di aver “derubato” gli Stati Uniti per anni. Ancora più severo il trattamento riservato ad altre potenze esportatrici, con la Cina in cima alla lista.

Per tutti gli altri paesi, Trump ha fissato una base minima tariffaria a livello planetario del 10%. Essere soggetti “solo” a questa misura viene di fatto presentato come un privilegio. È il caso di San Marino, che in teoria si troverebbe ora con un vantaggio competitivo nell’export verso gli Stati Uniti rispetto ad altri paesi europei. Non essendo membro dell’UE né attualmente associato, il Titano risulterebbe meno penalizzato. Tuttavia, è fondamentale considerare che l’ecosistema economico è strettamente interconnesso,

La strategia di Trump, incentrata sulla reciprocità e su tariffe elevate, soprattutto nel settore automobilistico, mira a scuotere gli equilibri commerciali globali e a favorire un ritorno della produzione interna negli Stati Uniti. Resta da vedere se questa “stangata” porterà realmente ai risultati sperati o se, al contrario, innescherà una spirale di ritorsioni e un ulteriore indebolimento

TUTTI I DAZI – Donald Trump ha mantenuto la sua promessa con una mossa che ha il sapore di un vero e proprio sconquasso per il commercio globale. Senza mezzi termini, l’ex Presidente ha annunciato l’imposizione di dazi aggressivi su quasi tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, siano essi rivali storici o alleati di lunga data.

La strategia, decisamente più radicale di quanto molti analisti avessero previsto, si articola su due livelli: un dazio base del 10% su pressoché ogni prodotto importato negli USA, e tariffe nettamente superiori – capaci di raddoppiare, triplicare e in alcuni casi sfiorare il 50% – per una sessantina di nazioni ritenute colpevoli di pratiche commerciali “sleali”. Questa lista nera include potenze economiche come l’Unione Europea, il Giappone, la Corea del Sud e la Cina.

L’impatto sul settore automobilistico è immediato e pesante: come annunciato, dalla mezzanotte del 2 aprile sono scattati dazi del 25% su tutte le auto prodotte all’estero. Unica eccezione, al momento, Canada e Messico, ironicamente già nel mirino per le annunciate tariffe del 25% legate alla gestione di fentanyl e migranti, sebbene i beni coperti dal NAFTA fossero finora esclusi.

Trump in persona ha illustrato nel dettaglio la portata dei nuovi dazi, brandendo un tabellone esplicativo. La Cina è il bersaglio principale, con un’aliquota che raggiungerà il 54% sommando il nuovo 34% ai dazi già esistenti del 20%. Ma Pechino non è sola: ben 60 paesi vedranno applicate tariffe addizionali rispetto al 10% di base, identificati dall’amministrazione Trump come i partner commerciali con le relazioni più “inique” nei confronti degli Stati Uniti.

Nonostante la portata delle misure, Trump ha definito la sua azione “benevola”, sostenendo che i nuovi dazi americani sarebbero inferiori alla metà di quelli imposti dagli altri paesi all’America.

Nel suo tour planetario di tariffe, Trump ha annunciato un 10% di dazi sulla Gran Bretagna, una percentuale inferiore al 20% che colpirà l’Unione Europea, definita in termini poco lusinghieri e accusata di imporre barriere del 39% ai beni statunitensi. Affermazioni che contrastano con le stime della Banca Mondiale, che quantificano i dazi medi europei attorno al 2%, un livello non molto distante da quello medio finora applicato dagli USA.

La lista dei paesi colpiti è lunga e variegata: 17% per Israele, 26% per l’India, un pesante 46% per il Vietnam, 32% per Taiwan, 10% per il Brasile. E ancora: 30% per il Sudafrica, 31% per la Svizzera, fino al 49% per la Cambogia.

Le reazioni a questa ondata di dazi non si sono fatte attendere, con numerosi esperti e critici che bollano come soggettivi e infondati i calcoli presentati dalla Casa Bianca. Lo spettro di una guerra commerciale globale si fa sempre più concreto, e le ripercussioni sull’economia mondiale appaiono difficili da prevedere nella loro totalità, ma certamente significative.

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